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Antropocene, la nuova era  
Giovanni Cianti, 8 Maggio 2009
     

Oggi, dopo 10 secoli di agricoltura,  appena il 17% delle terre abitabili non è stato toccato da attività umane, in pratica solo i poli e i deserti. La Terra brulica di città, paesi, campi, pascoli. Ogni 15 km c’è almeno una via di comunicazione o di trasporto di energia. Non c’è angolo del pianeta dove di notte non brillino luci artificiali. Due terzi delle foreste e metà delle praterie del pianeta sono state distrutte  per dare spazio alle coltivazioni, i grandi felini e moltissime specie animali sono stati eliminati[1]. Le città hanno sviluppato un microclima proprio, dovuto alle ampie superfici rigide dei palazzi riscaldate dal sole, alle piogge incanalate in condotte sotterranee, ai rifiuti e all’inquinamento che insieme producono un riscaldamento eccessivo. Questo scudo termico cittadino rende il clima più ventoso e nuvoloso delle campagne e altera le correnti atmosferiche. Il rapporto tra uomo e ambiente si è gradualmente e profondamente  alterato. La crescita della popolazione aumenta le superfici distrutte dall’agricoltura, produce inquinamento, crea denutrizione e povertà. Oltre sei miliardi di persone vivono in 40 milioni di km2, il territorio abitabile della Terra, con una media di 166 abitanti per chilometro. Il Giappone che ha 125 milioni di abitanti  ma solo il 16% della superficie abitabile vanta la maggiore densità abitativa, 2.000 persone per chilometro quadro! La crescita demografica rappresenta la minaccia più seria per l’ambiente e la sfida più grande che l’uomo deve affrontare. Tre miliardi di persone vivono in povertà, oltre un miliardo soffre la fame e anche se l’attuale ritmo di crescita demografica è ridotto rispetto al picco degli anni 65–70 il trend attuale dell’1,3% è estremamente preoccupante. I fattori principali che ne influenzano l’aumento sono la fertilità – strettamente legata  alla disponibilità del cibo - e la mortalità, mentre epidemie, guerre e carestie hanno scarsa influenza. La natalità rimane alta nei paesi sottosviluppati nei quali è elevata la mortalità infantile e breve la durata della vita. Nei paesi ricchi viceversa il ritmo di natalità si è estremamente ridotto così come si è ridotta la mortalità grazie all’igiene e allo sviluppo della medicina. Questo ha portato nel secolo scorso alla cosidetta transizione demografica verso una popolazione percentualmente vecchia e stabile. La crescita futura è difficile da prevedere. Anche se il ritmo di sviluppo è rallentato, anche se Cina e India attuano controlli delle nascite sia pure con diverso grado di severità, dal 1960 ad oggi l’Africa ha triplicato la popolazione, mentre Asia, America Latina e Caraibi l’hanno comunque raddoppiata ed è cresciuto, soprattutto nei paesi più poveri, il numero delle magalopoli. L’impatto sul pianeta, valutato in base a tre fattori, il numero della popolazione, i consumi pro-capite e il danno ambientale porta a chiedersi qual è il limite di sostenibilità della Terra. Calcoli risalenti agli anni ’90[2] che valutavano il rapido esaurirsi della superficie del terreno e della disponibilità delle falde acquifere, la biodiversità e l’inquinamento indicavano come l’umanità già allora avesse ampiamente superato la soglia della sostenibilità e seriamente compromesso ogni risorsa per le generazioni future. Recentemente, in soli 200 anni, l’uomo ha indotto cambiamenti ambientali di tale portata che in precedenza alla natura ne erano serviti milioni. Il suolo con l’agricoltura e con le costruzioni ha visto un aumento drammatico dell’erosione e il denudamento dei continenti. Il ciclo del carbonio è drammaticamente cambiato con livelli di anidride aumentati di un terzo rispetto all’epoca pre-industriale. La biologia ha visto estinzioni massive, migrazioni di moltissime specie e sostituzione della fauna selvatica con quella domestica. Gli oceani con l’innalzamento delle acque e la diminuzione della loro acidità hanno subìto problemi di flora e di fauna marina tali da riflettersi sui sedimenti dei fondali al punto che qualcuno[3] già parla di Oligocene concluso e di inizio di una nuova era geologica, l’Antropocene. E’ qualcosa di più di una provocazione. Viene da chiedersi se l’uomo non sia giunto al termine della sua parabola evolutiva. Certo, se prendiamo come marker del processo l’encefalizzazione, l’evoluzione biologica può considerarsi conclusa, ma l’evoluzione culturale in realtà è solo agli inizi. Facendo riferimento alle dinamiche evolutive della vita sulla Terra saremmo portati a dire che i quattro milioni di anni appena trascorsi hanno visto la fase del rapido progresso evolutivo mentre non è ancora iniziata la seconda fase, quella della lunga stabilizzazione. La storia dei dinosauri ci insegna che quella specie dominò la Terra per 160 milioni di anni, altrettanti quindi potremmo aspettarcene noi umani. Di sicuro però l’ambiente è gravemente compromesso, la sovrapopolazione incombe e per certo 10.000 anni fa siamo usciti dall’ordine naturale delle cose. Si prospettano allora due diversi scenari di cui il primo, salvifico, è legato al progresso tecnologico, l’altro invece potrebbe rappresentare il declino e la scomparsa dell’umanità.  

GC. 

 


CRESCITA DEMOGRAFICA NELLA STORIA

12.000  anni fa

10.000       “  

 2.000        “

1840

1930

1975

1990

2008

1 milione

5 milioni

200 milioni

1 miliardo

2 miliardi

4 miliardi

5,2 miliardi

6,6 miliardi

CRESCITA  FUTURA

 (a condizione che il ritmo di fertilità continui a calare)

2010

2050

2150

6,8 miliardi

9,4 miliardi

11,6 miliardi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] DOMESTICATED  NATURE  Science, 29/06/2007

 

[2] G.C.Daily, P.R.Ehrlich POPULATION, SUSTAINABILITY, AND EARTH’S CARRYNG CAPACITY: A FRAME WORK FOR EXTIMATING POPULATION SIZES AND LIFESTYLES THAT COULD BE SUSTAINED WITHOUT UNDERMINING FUTURE GENERATIONS Bio Scienze, Nov. 1992

 

[3] J.Zalasievic et al: ARE NOW LIVING IN THE ANTHROPOCENE? - GSA Today vol. 18 n°2 February 2008