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Obesità, la punta dell’iceberg
Giovanni Cianti, 20 Aprile 2009

 

L’obesità è un fenomeno dilagante nel nostro, oramai minuscolo, pianeta. Una vera e propria pandemia. Paradossalmente, non riguarda solo le società e le classi sociali più ricche, sviluppate e opulente ma anche le popolazioni più povere e incolte. Non risparmia neppure i Paesi in via di sviluppo dove incredibilmente si muore ancora di fame e insieme di diabete.  L’obesità non è conseguenza dell’abbondanza quanto piuttosto della miseria e dell’ignoranza. E’ soprattutto il primo segnale di una crisi metabolica che sta avvelenando l’intero organismo. Si tratta della condizione che ha prodotto l’emergenza sanitaria dalle dimensioni più grandi, impensabili e incontrollabili che l’umanità si sia mai trovata a fronteggiare. Ben lontano dall’essere meramente un fatto estetico, il sovrappeso è l’evidenza di gravi problemi per la salute che stanno affiorando. L’insieme di malattie provocate dalle alterazioni del metabolismo degli zuccheri prende appunto il nome di Sindrome Metabolica ovvero la dolce catastrofe dell’umanità.

 

La catastrofe sanitaria

Come si è detto l’accumulo di grasso nel corpo evidenzia un tilt metabolico che sta già producendo gravi conseguenze per la salute e che, se non verrà rapidamente arrestato, continuerà a danneggiare l’organismo provocando in modo lento ma inesorabile, danni irreparabili. Mi rendo conto mentre scrivo queste parole quanto possano suonare eccessive o azzardate, ma se avrete la pazienza di seguire quanto vado illustrando, capirete che si tratta della descrizione, ahimé, fedele della realtà. Provate a immaginare il costo sociale di un quarantacinquenne, con spettanza di vita statistica di altri trent’anni, che sviluppa ipertensione e diabete con le relative complicanze. Quante ore di assenza dal lavoro, quante spese in visite mediche, analisi, farmaci, ricoveri ospedalieri - in crescendo con l’aumentare dell’età - finché con buona pace della sua anima lascerà questa valle di lacrime? Le malattie metaboliche, in progressivo aumento anche in rapporto all’innalzamento della vita media della popolazione, rappresentano la causa primaria di morbilità e mortalità. In Italia, col 40% dei casi – 250.000 decessi - la Sindrome Metabolica è la prima causa di morte. Metà della popolazione italiana è sovrappeso, mentre il numero degli obesi nel nostro paese corrisponde a quattro - cinque milioni di persone.  I costi socio-sanitari dell’obesità hanno superato negli Stati Uniti i 100 miliardi di dollari all’anno, mentre in Italia  si aggirano intorno ai 23 miliardi[1] di euro.

 

Malattia  del progresso?

No, nel modo più assoluto. L’archeologia ben ci dimostra come l’insorgenza delle malattie metaboliche coincida perfettamente con la scoperta dell’agricoltura e come in precedenza i nostri preistorici antenati ne fossero immuni. Le mummie di cui gli Antichi Egizi ci hanno lasciato milioni di esemplari evidenziano come 4 - 5000 anni fa carie, diabete, malattie cardiovascolari, obesità  e tumori affliggessero l’umanità esattamente come adesso.  L’agricoltura infatti assieme al frutto insostituibile della civiltà ha introdotto nell’alimentazione umana cibo non idoneo, al quale la nostra specie – dato il brevissimo tempo intercorso – non si è ancora adattata. Una discordanza evolutiva, come la definisce il prof. Cordain, della quale ancora oggi stiamo pagando le conseguenze.

 

La nostra storia evolutiva

Per due milioni e mezzo di anni l’animale homo è stato cacciatore - raccoglitore, specializzato come divoratore di carogne. Non essendo dotato di zanne né di artigli il suo cibo era costituito dalle carcasse di erbivori lasciate dai grandi felini, da uova, insetti, molluschi, bacche e radici. Di conseguenza la sua fisiologia si è sviluppata ed evoluta in base a un’alimentazione scarsa di zuccheri, ricca invece di proteine animali, vitamine e fibre vegetali. I margini di sopravvivenza erano un tempo molto ridotti ma la salute dei superstiti eccellente. Poi, solo diecimila anni fa, un soffio in termini evolutivi, l’invenzione dell’agricoltura ha drasticamente cambiato le nostre abitudini alimentari, introducendo quantità di zuccheri eccessive e dannose (ma facili da conservare) per le quali il nostro organismo non era e non è tuttora predisposto. Così i più hanno avuta garantita la sopravvivenza sia pure a spese della salute. La nostra specie è divenuta stanziale, la popolazione ha cominciato ad aumentare, sono sorte le prime città e la storia del genere umano ha avuto inizio. Con grandi sofferenze e tribolazioni come ci ricorda la Bibbia. Oggi più che mai la situazione sanitaria sta degenerando oltre misura per due motivi:

1.      la fine dopo 10.000 anni dell’agricoltura estensiva e il passaggio all’industria avvenuto negli ultimi anni del 1700 hanno portato ad un ancora più  massiccio e progressivo inurbamento (attualmente più della metà del genere umano vive nelle città) con impoverimento ulteriore del cibo e delle condizioni di vita.

2.      L’innalzamento della durata dell’esistenza ha evidenziato problemi di salute che in un’aspettativa di quarant’anni di vita non avevano praticamente il tempo di manifestarsi.

 

Il fallimento delle diete

Già da molti decenni la consapevolezza della portata del problema ha spinto a ricercarne le cause nell’eccessivo consumo di grassi alimentari. Molto semplicisticamente si è formulata l’equazione: più grassi presenti nell’organismo uguale a più grassi introdotti. Questo ha portato a raccomandare diete a basso tenore lipidico, un modello di nutrizione penetrato profondamente nella cultura alimentare occidentale che ha tenuto banco per almeno quarant’anni. L’industria ha prodotto alimenti “leggeri”, “a grassi 0”, che la popolazione ha consumato in massa. Una strategia che non ha risolto anzi ha fortemente aggravato i problemi della salute fino alla pandemia di obesità cui stiamo oggi assistendo[2]. Le diete sviluppate in questo periodo vertevano essenzialmente su due capisaldi, la riduzione dei lipidi appunto e la restrizione calorica. Anche se studi oramai generalmente accettati testimoniano come una riduzione dell’energia introdotta sia predisponente al prolungamento dell’esistenza (più avanti vedremo perché) è sfuggito il fatto che nessun animale sulla faccia della terra accetta volontariamente la fame e la privazione. La fame per gli esseri viventi è un segnale negativo voluto dalla natura per garantire la sopravvivenza. Di conseguenza anche se la restrizione calorica produce diminuizione di peso (e solo in parte di grasso) non può essere sostenuta a lungo e inevitabilmente la routine viene rotta per un’appropriata compensazione che porta a mangiare di più nonché all’attivazione di processi metabolici che con maggior facilità ci portano ad accumulare ancora più grasso. Ma soprattutto ridurre i lipidi alimentari ha portato ad un incremento degli zuccheri assunti in loro sostituzione, aggravando la situazione. In pratica si è consigliata come soluzione proprio la causa stessa del problema. Le diete tuttora in massima parte prescritte non sono idonee perché:

·        sostituiscono i grassi con gli zuccheri aggravando lo stress metabolico

·        impongono una notevole restrizione calorica rendendosi nel tempo impraticabili.

 

Gli occhi bendati della scienza

Il ritardo con cui la scienza ufficiale stenta a rendersi conto della situazione va probabilmente individuato nell’eccessiva specificità della ricerca. Molto probabilmente un approccio multidisciplinare avrebbe consentito una valutazione più immediata. La fisiologia non può ignorare la genetica, la biologia e l’archeologia devono andare a braccetto, la medicina non può prescindere dalla storia e soprattutto dalla preistoria. Curiosità, intuito, creatività e cultura dovrebbero essere patrimonio di ogni ricercatore. Qualcuno non a caso ha parlato di serendipità che lo scienziato - come i tre principi del racconto di Cristoforo Armeno - dovrebbe possedere. Adesso si indagano le possibili cause  genetiche e molecolari dell’obesità per produrre nuovi farmaci, ma i  farmaci devono essere l’ultimo presidio cui fare ricorso: se il problema è di natura alimentare lo si previene e risolve banalmente intervenendo sull’alimentazione. Almeno finché si è in tempo. Ma questo ovviamente suona sgradito alle case farmaceutiche che sono i maggiori sponsor delle ricerche stesse.

 

GC 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] La promozione della salute IL DIABETE E LE MALATTIE METABOLICHE (2007) www.ministerosalute.it

 [2] RH Knopp INTRODUCTION: LOW-SATURATED FAT, HIGH-CARBOHYDRATE DIETS: EFFECTS ON TRIGLYCERIDE AND LDL SYNTHESIS, THE LDL RECEPTOR AND CARDIOVASCULAR DISEASE RISK (2002) Northwest Lipid Research Clinic, Univerity of Washington, Seattle